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Oltre la ciclabile

Come si costruisce una città a misura di bicicletta? Con le piste ciclabili? Con il bike-sharing? Disseminando la città di rastrelliere o di altri oggetti e strutture bike-friendly?

Niente di tutto questo.

Oltre la ciclabile

Lo dimostra il dossier l’A-bici della ciclabilità – di cui è stata presentata un’ampia anteprima a Fa’ la cosa giusta! – realizzato da Legambiente, Rete Mobilità Nuova e bikeitalia.it, che cerca di sfatare alcuni luoghi comuni a partire da quello indubbiamente più diffuso: per avere più ciclisti urbani servono più ciclabili. A illustrare i numeri raccolti in 104 città italiane capoluogo di provincia sono stati Alberto Fiorillo, responsabile aree urbane di Legambiente, Paolo Pinzuti, editore bikeitalia.it, Michele Merola, comitato scientifico Rete Mobilità Nuova.   Tanto per chiarire il senso dell’affermazione iniziale, ecco subito un esempio concreto. Brescia è una delle città italiane con più chilometri di ciclabili e con più servizi, ha cicloparcheggi di scambio, bici a noleggio, una diffusa segnaletica per le due ruote. Eppure solo il 3% degli abitanti si muove quotidianamente a pedali. Ferrara, un’altra città padana altrettanto piatta e altrettanto ricca, ha infrastrutture e servizi analoghi, ma la quota di cittadini che si sposta in bici è nove volte più alta (il 27%) rispetto a quella del capoluogo lombardo. Pisa non ha nemmeno un terzo delle corsie protette per due ruote che ha Reggio Emilia eppure le percentuali di spostamenti a pedali in tutti e due i comuni sono a un buon livello (sopra il 15%). Ma mentre nel comune toscano i cittadini che si spostano con mezzi privati a motore sono poco più del 40%, ben due reggiani su tre scelgono l’auto o lo scooter per spostarsi. Roma e Venezia-Mestre hanno approvato il biciplan (il piano della mobilità ciclistica) e hanno da anni un ufficio biciclette operativo all’interno del municipio: nella Capitale la bici è un mezzo di trasporto per appena una persona su 100, in laguna per un quinto dei residenti.

La ricerca

Legambiente, Rete Mobilità Nuova e bikeitalia.it, tramite un questionario inviato a tutti i comuni capoluogo di provincia, hanno raccolto “Una serie di informazioni legate alla mobilità e alla ciclabilità. In primo luogo è stato chiesto ai municipi di indicare il modal share del proprio territorio, ossia il tipo di veicolo (auto, moto/scooter, trasporto pubblico, bici, piedi) utilizzato dagli abitanti per gli spostamenti sistematici all’interno del centro urbano. Sono state poi raccolte informazioni sulle ciclabili e sulla loro tipologia (in sede propria o promiscua, in carreggiata o su marciapiede … ), sulle strade a velocità moderata (a 20 o 30 kmh), sulle isole ciclopedonali e sulle zone a traffico limitato. Infine è stato elaborato un terzo indice, l’indice di ciclabiltà, che misura la capacità delle amministrazioni comunali di predisporre una serie di strumenti che favoriscono la mobilità ciclabile: creazione di ufficio biciclette, approvazione di un piano per la mobilità ciclabile, presenza di bike sharing, di cicloparcheggi di interscambio, di bicistazioni e di sensi unici eccetto bici. Con queste informazioni, opportunamente pesate, è stato costruito l’indice delle ciclabili equivalenti, che misura la lunghezza (in metri/100 abitanti) di tutti i percorsi potenzialmente accoglienti per la bici. L’idea di partenza è stata quella di andare a verificare la presenza (o l’assenza) di simmetria tra il parametro più importante ( il modal share, ossia lo stile di mobilità preferito dagli abitanti) e gli altri due parametri relativi alla dotazione infrastrutturale e ai servizi per le due ruote. Questa corrispondenza tra ciclisti, ciclabili, ciclouffici e cicloservizi non c’è. Reggio Emilia, ad esempio, primeggia in entrambe le graduatorie (sia per ciclabili equivalenti, dove è la migliore in assoluto, sia per indici di ciclabilità, dove è alle spalle solo di Treviso). Ma il suo 15% di spostamenti in bici è assai distante dal 28% di Pesaro, che è al 14° posto per dotazione di ciclabili e addirittura al 46° nell’indice di ciclabilità. Bolzano e Padova, in percentuale, hanno un estensione di corsie per le due ruote quasi identica e differenze insignificanti per quello che riguarda i servizi, ma la prima ha il 28% di spostamenti in bici e la seconda il 17%. Pisa col 30% in meno dei metri pro capite di ciclabile di Padova (11,6 a testa contro 5,2) riesce a ottenere le stesse performance del capoluogo veneto. Paolo Pinzuti, Alberto Fiorillo e Michele Merola     Come detto il miglior indicatore sulla qualità della mobilità è il modal share. Lo stile di mobilità degli abitanti, il mezzo usato per i percorsi quotidiani casa-scuola o casa-lavoro, spiega in maniera molto diretta se un’amministrazione locale ha lavorato bene per favorire gli spostamenti non motorizzati o con mezzi collettivi o se le scelte urbane finiscono per premiare l’auto e lo scooter. Purtroppo questo è anche il parametro su cui i comuni hanno fornito il minor numero di informazione. Solo 24 città capoluogo (sulle 104 interpellate) hanno dati aggiornati e confrontabili tra loro che hanno permesso di fare tutte le considerazioni del caso, ma non consentono un’analisi di tutte le realtà urbane del Paese. Molto più ampia, al contrario, la disponibilità di dati sull’estensione delle ciclabili (solo 6 città non hanno risposto al questionario), mentre su uffici, servizi e progetti sulla ciclabilità hanno comunicato le informazioni richieste 81 capoluoghi.

Superare la ciclabile

Attenzione però: questo non vuole essere .il de profundis della ciclabile o del bike-sharing, dei cicloparcheggi o degli uffici comunali per le bici che – a patto di essere realizzati bene, cosa che nelle nostre città spesso non è avvenuta – possono essere un valido ausilio nello sviluppo di politiche volte a favorire la ciclabilità o la mobilità nuova. Vuol solo indicare che non sono affatto il punto di partenza. Chiunque voglia operare per rendere una città pedalabile dovrà prima tutto agire sull’intera mobilità (e non soltanto su una parte di essa), perché ciclisti, pedoni e trasporto pubblico crescono dove andare in auto diventa l’opzione più scomoda e meno concorrenziale e dove c’è garanzia di sicurezza per la cosiddetta utenza vulnerabile.   Troppo spesso, invece, la ciclabile diventa la strada più comoda per un sindaco (ovviamente le eccezioni ci sono) per spolverare di mobilità sostenibile la sua città: si taglia il nastro di un nuovo percorso, si fa bella mostra dell’impegno dell’amministrazione locale e non si sta a guardare se poi quell’infrastruttura ha effettivamente ridotto il numero di km percorsi in auto e fatto parallelamente crescere quelli percorsi dalle bici.   In ogni caso per essere un mezzo di trasporto a tutti gli effetti la bicicletta deve potersi spostare da un qualsiasi punto “x” a un qualsiasi punto “y” di una città. Percorrendo esclusivamente le ciclabili questa possibilità è negata e in una città come Roma, ai ritmi di crescita attuali dei percorsi a due ruote, un ciclista dovrebbe aspettare secoli prima di avere strade riservate che lo portino ovunque senza impedimenti e interruzioni. La Capitale, infatti, ha 4.800 chilometri di strade municipali e 123 chilometri di ciclabili. Aggiungendo una dozzina di chilometri pedalabili l’anno le due ruote avrebbero una rete vi ari a analoga a quella delle quattro ruote a motore soltanto dopo il 2410.

Che fare?

Senza stare a scomodare i classici esempi di Amsterdam o Copenaghen, per il nostro Paese possono aiutare a illustrare meglio il ragionamento un paio di casi che dimostrano come togliere di mezzo il traffico privato per fare strada a pedoni e ciclisti sia una formula efficacissima. Bilbao, ad esempio, ha rigenerato gli spazi urbani rendendo molto scomodo lo spostamento motorizzato (strade più strette, limiti di velocità severi, tariffe di parcheggio elevate) e ha visto subito salire tanta gente su tram, bus e anche biciclette, nonostante un territorio pieno di saliscendi. Lo stesso è successo in alcuni centri urbani ungheresi che, in soli sette anni, hanno visto crescere da zero fino al 20 per cento la quota di spostamenti in bicicletta. E’ il risultato di un lavoro di squadra governo-comuni: il primo ha sì investito in ciclabili e cicloposteggi, ma nel mentre i secondi hanno lavorato per rendere difficile l’accesso in macchina alle aree centrali, riducendo i parcheggi su strada e aumentando il prezzo della sosta. A Budapest, per dire, tra 2004 e 2011 l’uso dell’auto privata s’è più che dimezzato, passando dal 43 al 20%. Ma anche in Italia è successo lo stesso. Bolzano è l’unica città italiana dove meno di un terzo degli abitanti usa l’auto e c’è riuscita non stendendo chilometri e chilometri di asfalto ciclabile, ma riducendo i parcheggi di superficie, aumentando la sicurezza di chi si muove con le proprie gambe, ampliando le aree pedonali e facendo ricorso alle corsie protette per le bici in quei tratti di strada dove proprio era impossibile garantire una armonica convivenza tra i vari veicoli.

 

Mobilità nuova: Bolzano su tutte, poi Pisa. Il resto è traffico

Sempre rimanendo sui numeri raccolti da Legambiente, Rete Mobilità Nuova e bikeitalia.it si possono stilare due vere e proprie classifiche. La prima è quella relativa alla mobilità nuova, alle città che nel proprio territorio sono riuscite a fare in modo che gli spostamenti motorizzati individuali in auto, moto e scooter scendessero a un livello accettabile, inferiore o vicino a un terzo del totale. In questa particolare graduatoria ci sono Bolzano (la somma di spostamenti in auto e moto arriva al 30%) e molto distanziata Pisa, col 41% di spostamenti individuali motorizzati.   C’è poi la classifica relativa alla sola ciclabilità, a quell’insieme di città dove una quota significativa della domanda di mobilità è assorbita dalla bici. Ai primi posti troviamo di nuovo Bolzano, stavolta insieme a Pesaro e Ferrara (con il 27-28% di mobilità urbana soddisfatta dalle due ruote), seguita da Venezia-Mestre con il 20%. Altre sei città superano il 15% (Pordenone, Pavia, Pisa, Padova, Treviso, Reggio Emilia) e altre tre sono almeno sopra il 10% (Modena, Parma e Udine). Compresi tra il 5 e il 10% i valori di Trento, Siena, Cuneo, Firenze e Bologna, mentre in alcune grandi città (come Roma o Torino) le percentuali sono davvero basse (1 e 2%) e, pur in assenza di dati, non è difficile immaginare che altri grandi centri urbani come Napoli e Palermo non se la pedalino bene.

Pure il gruppo di virtuose, peraltro, presenta diversi nei. Pordenone avrà pure il 19% di spostamenti in bici, ma il 67% usa l’automobile e appena i1 4% il trasporto pubblico. Un ragionamento analogo si potrebbe fare per Udine, Parma o Modena.

L’A-bici della ciclabilità. Le proposte e una legge in discussione alla Camera Limite di 30 km/h in ambito urbano

Per rendere una città a misura di pedoni, pedali e pendolari Rete Mobilità Nuova ha elaborato una proposta di legge che è stata appena depositata alla Camera. Punto centrale è l’abbassamento della velocità da 50 km orari a 30 km orari per le strade dei centri urbani, con l’eccezione delle strade urbane dove sarà possibile elevare tale limite fino ad un massimo di 50 km/h se le caratteristiche costruttive e funzionali lo consentano. Con la moderazione della velocità a 30km/h in ambito urbano, si renderebbero le città più sicure, si ridurrebbero la rumorosità, lo smog, i consumi di carburante rendendo il traffico più scorrevole e incentivando le modalità di spostamento alternative all’auto privata come i piedi, la bici o il trasporto pubblico.

Molte città europee sono sensibili ai vantaggi dell’altra velocità. Tra queste Parigi che, dal primo settembre 2013, ha imposto su un terzo delle vie urbane il limite di velocità a 30 chilometri orari. La capitale francese ha stabilito un’ulteriore limitazione della velocità a 20 chilometri orari per 23 nuove “zones de rencontre” – aree a prevalenza commerciale come il Marais – che si sono aggiunte alle 15 già esistenti. E tutto questo in una città dove già il 60% della popolazione si sposta a piedi, il 27% col trasporto pubblico, il 7% in macchina e il 4% in bici.

Un fondo per la mobilità nuova

Tra gli altri punti introdotti dalla proposta di legge: l’istituzione del Fondo per lo Sviluppo del trasporto Pubblico locale e della Mobilità Organizzata. Lo Stato annualmente, tramite legge di stabilità, destina al fondo “Sviluppo del trasporto pubblico locale e della Mobilità non Motorizzata” il 75% dei fondi complessivi che annualmente sono destinati al trasporto e alle infrastrutture per la mobilità. Le Regioni annualmente, tramite legge di bilancio regionale, destinano al fondo “Sviluppo del trasporto pubblico locale e della Mobilità non Motorizzata” il 25% degli introiti regionali derivanti dalla tassa automobilistica.   Obiettivi di mobilità virtuosi Sempre la proposta di legge introduce i target di mobilità con cui si stabilisce di fissare a livello nazionale obiettivi vincolanti di ripartizione modale degli spostamenti validi in tutti i Comuni capoluogo di Provincia e nei Comuni con più di 50.000 abitanti, stabilendo che entro due anni a partire dall’approvazione della legge la quota massima di spostamenti motorizzati individuali con mezzi privati all’interno delle aree metropolitane e del territorio comunale debba essere inferiore al 50% del totale degli spostamenti. E poi a partire dal secondo anno e al termine di ognuno degli anni successivi si stabilisce un’ulteriore riduzione’ della quota massima di spostamenti motorizzati con mezzi privati, con un meccanismo di bonus-malus economico che premia chi raggiunge l’obiettivo e penalizza le amministrazioni inadempienti.

Tra le priorità c’è anche quella di assicurare al trasporto pubblico di superficie la possibilità di una maggiore fluidità estendendo il più possibile la rete (assai scarsa) di corsie preferenziali per i bus. Un’azione di questo tipo potrebbe assicurare due risultati immediati, quasi a costo zero: la sottrazione di spazio alle automobili e una reale concorrenzialità del bus rispetto alle vetture private.

Sempre i Comuni dovrebbero cominciare a introdurre pedaggi urbani (sul modello dell’AreaC milanese) o tariffe elevate per la sosta nelle aree più congestionate al fine di ridimensionare gli ingorghi, regolare il traffico e recuperare risorse aggiuntive per migliorare l’efficienza del trasporto pubblico.   I vantaggi di una seria azione per la mobilità nuova sono peraltro ben evidenziati da uno studio danese (Bicycle Account 2012) che evidenzia come ogni km pedalato genera un beneficio di 0,16 euro per la società, mentre a ogni km percorso in automobile genera un danno pari a 0,10 euro.

 

I numeri

Nelle immagini sono riportati, sinteticamente, i numeri raccolti. La prima tabella è quella relativa al modal share, di cui abbiamo già abbondantemente parlato.

 Modal share

A seguire c’è la tabella che misura i metri di piste ciclabili equivalenti. Per costruire un indicatore in grado di valutare l’offerta ciclabile di una città sono stati cioè considerati i km di piste ciclabili in sede propria, i km di piste ciclabili in corsia riservata, i km di piste su marciapiede, i km di piste promiscue bici/pedoni e le zone con moderazione di velocità a 20 e 30 km/h. Sono state richieste anche le piste nel verde (ovvero quei percorsi che non corrono lungo la carreggiata stradale, ad esempio nei parchi, lungo i fiumi, strade bianche, etc.) al fine di poter meglio distinguere le piste con un uso urbano e quotidiano da quelle ricreative. Queste informazioni, opportunamente pesate, hanno concorso a formare l’indice di “metri equivalenti” di percorsi ciclabili ogni 100 abitanti. I dati disponibili, comunque, sono in grado di misurare l’estensione dei percorsi ciclabili e non il grado di sicurezza, la funzionalità e la distribuzione all’interno della città.   Tra le grandi città Padova, Venezia e Verona superano i 10 metri equivalenti ogni 100 abitanti mentre cinque non raggiungono il valore di 1 m_eq/100 ab. Reggio Emilia registra il valore più alto tra le città di medie dimensioni, 38,02 m_eq/100 ab. In generale sono 16 i capoluoghi di medie dimensioni che superano la soglia di 10 m_eq/100 ab (fra queste solo Alessandria si avvicina a quasi 20 m_eq/100 ab). Si registrano invece cinque comuni che non raggiungono 1 m _eq/100 ab (Salerno, Sassari, Cagliari, Reggio Calabria e Siracusa).   Per quanto riguarda le città piccole, Mantova e Lodi si posizionano in cima alla classifica, con valori che sfiorano i 27 m _ eq e al di sopra dei 20 m _ eq si trovano anche Verbania (24,41 m_eq), Vercelli (21,84 m_eq) e Cremona (21,20 m_eq). Al contrario, le città che si collocano al di sotto della soglia di 10m _ eq/100 ab sono 33, fra cui 10 non raggiungono il valore di 1 m _ eq/100 ab.   I capoluoghi in cui sono state segnalate strade con moderazione di velocità (30 o 20 km/h) sono 48; mentre la lunghezza media di queste strade è di circa 10 km, con un valore massimo di 155 registrato a Verona, seguita da 116 a Ravenna.

 Piste ciclabili

L’ultima tabella è quella che riguarda l’indice di ciclabiltà che (con valori che vanno da 0 a 100) misura la capacità delle amministrazioni comunali di predisporre una serie di strumenti che favoriscano la mobilità ciclabile. I parametri considerati sono:

- ufficio biciclette;

- presenza di Biciplan – Piano per la mobilità ciclabile; – cicloparcheggi di interscambio;

- bicistazione;

- sensi unici “eccetto bici”; – bike-sharing.

 Indice di ciclabilità

In base alla presenza o assenza dei parametri considerati (e ai differenti pesi ad essi attribuiti) ogni città ottiene un punteggio normalizzato variabile da 0 a 100. Per il bike-sharing, inoltre, è considerata non solo l’attivazione del servizio, ma si è anche cercato di misurarne l’efficacia attraverso il numero di prelievi (in rapporto al numero di residenti). Anche per i cicloparcheggi di interscambio viene valutato non solo la presenza di questo servizio ma anche il numero di posti bici disponibili (sempre in rapporto al numero di residenti).

Fra le città grandi, raggiunge un punteggio maggiore di 70 solo Venezia (con 77,46), seguita da Bologna (69,73), Milano e Padova (entrambe con 67,75), mentre quattro città non raggiungono quota 30 (Genova, Palermo, Trieste e Catania).

  Per quanto riguarda le città di medie dimensioni, Treviso e Reggio Emilia ottengono 82 punti, a seguire troviamo Ferrara, Brescia, Bolzano e Udine con punteggi superiori a 70. In fondo alla classifica, invece, troviamo ancora cinque comuni (Catanzaro, Lucca, Reggio Calabria, Salerno e Sassari) con 0 punti. Pordenone, Cremona e Lodi sono le sole, tra i piccoli capoluoghi, a superare i 50 punti e, al contrario, 12 città non sono ferme a 0 punti.   Considerando, poi, i diversi parametri che compongono l’indicatore di ciclabilità, si evince che 27 città si sono dotate di biciplan; in 33 è presente un ufficio biciclette; in 40 ci sono dei cicloparcheggi di interscambio; in 12 sono presenti bicistazioni; in 12 ci sono dei sensi unici “eccetto bici”, in particolare si segnala Reggio Emilia, che vanta 194 strade di questo genere.   Infine il bike-sharing, che negli ultimi anni si è caratterizzato come un servizio in rapida diffusione, si riconferma tale anche in questa edizione: è infatti presente in 52 capoluoghi di provincia. Per il bike-sharing la principale differenza è rappresentata dal sistema di prelievo: il sistema meccanico è utilizzato in 21 città, quello elettronico in 32 (Vercelli possiede entrambi i sistemi). Il numero di prelievi delle biciclette rappresenta l’indicatore migliore per verificare l’utilizzo di questo servizio: dai dati emerge che le città con il maggior numero di prelievi sono Milano con 1.426.724 (un dato molto rilevante e pari a più di 1.130 prelievi ogni 1.000 abitanti) e Torino con 1.387.633 prelievi, che in rapporto al numero di abitanti supera addirittura Milano (sono infatti 1.591 prelievi ogni 1.000 abitanti). Terza, con un notevole distacco in termini di prelievi assoluti, è Brescia con 370.000 prelievi che però in rapporto al numero di abitanti è invece largamente prima con quasi 2.000 prelievi ogni 1.000 abitanti. Interessante anche notare il forte incremento di prelievi che fanno registrare queste città: rispetto al 2011, Brescia cresce addirittura del 118 (da 170.000 prelievi a 370.000), Torino del 57 (da circa 880.000 a quasi 1.390.000) e Milano del 32 (da poco meno di 1.100.000 a oltre 1.400.000).

 

Di Alessandro Docali31/03/2014 Ambiente

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